martedì 31 luglio 2012

Dei ritorni

In caso qualcuno se lo fosse chiesto, non sono morta.
Sono stata in ferie.
Oggi, che sono rientrata al lavoro, però, potrei morire.
E quindi sì, la settimana prossima tutti ve ne andrete al mare amostrarlechiappechiare, tutti farete meravigliosi viaggi in località esotiche, tranne me che son già stata via e starò qui, nella canicola e al lavoro.

Vabbè, nella mia assenza dalla rete, è accaduto, nell’ordine:

- Di stare al sole per n ore;
- Di leggere degli Harmony, che sono più divertenti delle barzellette de La Settimana Enigmistica (soprattutto quando lui la strinse al proprio corpo,fremendo di desiderio e passione);
- Di fare Mare et Montagna in soli dieci giorni, passando da 40 gradi centigradi, a 12 (senza avere i necessari maglioni, of course);
- Di appassionarmi (ancora) a Kiss Me Licia, che passa alle 09.00 su ItaliaUnooo. Ma soprattutto di far appassionare anche Azzurro;
- Di vincere un premio sul blog di Paolo a cui dedicherò post apposito;
- Di aprire un account Twitter (Viola Polemica);
- Di innamorarmi di un cappotto blu pavone, che però non posso permettermi (appena trovo il link, pubblico).

Ma soprattutto sono iniziate le Olimpiadi.

Ovviamente, come ogni donna senza muscolatura che si rispetti (quale sono), mi appassiono a qualunque sport: dall’atletica al nuoto, dal badminton al tiro con l’arco fino al dressage. Tutto questo in attesa che le bocce diventino disciplina olimpica, in modo da vere delle chance di potervi partecipare, un giorno.

Dicevo, le olimpiadi.

Che meraviglia. Gente che, come me, si flippa a vedere la carabina, che insulta (a ragione) la Pellegrini (che ci ha dimostrato che se si allenasse, invece che fare marchette a qualunque cosa, forse porterebbe a casa una medaglia) e che parla come se nella vita avesse studiato il regolamento di ogni sport.

Insomma, è la festa di ogni medaglia d’oro di zapping.

Non è, ahimè, la festa del buongusto. È bastato vedere l’inaugurazione, per rendersi conto che sono poche le nazioni che sanno vestire in maniera DIGNITOSA i propri atleti e non sto parlando di Paesi sconosciuti (tipo: chi sa dov’è il Belize, alzi la mano!) o di chi sfila in abiti tradizionali (come l’India). No, di gente cosiddetta civilizzata. Ecco, parliamone un attimo.

Regno Unito

Cominciano dai padroni di casa, quelli che hanno speso l'equivalente del notro PIL per la cerimonia di apertura e poi si sono presentati vestiti con il domopack e i bermuda. Roba da far rabbrividire persino nell'edizione Seul 1988 (quella di Mila, sì).


USA

Ed ecco i loro cugini d'oltre oceano, che non pensavano che la cerimonia d'inaugurazione fosse una roba ufficiale e quindi hanno deciso di travestirsi. E infatti, eccoli mascherati da personale di bordo della Delta Airlines. Le uscite di sicurezza sono qui, qui e qui.


Olanda

Gli amici del paese delle biciclette, avendo perduto i baggli in aeroporto, hanno svaligiato i gabbiottini dell'ANAS e se la sono inventata così. O almeno è l'unica spiegazione possibile. D'altronde: orange is the new black.

Danimarca

Qui invece abbiamo le suore laiche danesi. Belle figliole, per l'amor del cielo, ma a confronto, Maria di Tutti Insieme Appassionatamente, sembrava la gemella di Mary Quant. Per il 2016 ci aspettiamo una bella tunica, stile Druido.


Finlandia

Restiamo a nord: ecco le amiche della Finlandia. Al contrario delle danesi, non si sono riguardate sull'orlo della gonna (e dato l'alfiere, direi che hanno fatto pure bene!), peccato per il giubbino mimetico-urbano. Fa molto Spice Girls, prima maniera, o rumeno 2.0. Ancora qualche anno e sarà avanguardia.

Grecia

Ecco i nostri amici, compagni di prossime sventure economiche, i greci. Data la crisi, hanno pensato bene di riutilizzare completi vecchi di un ventennio, cupi e tristi, che sembrano pronti per un funerale. Insomma, l'austerity, mica seghe.

Repubblica Ceca

Gli amici della Repubblica Ceca, detti i simpatici umoristi, sono gente che va nel paese più piovoso dell'emisfero e si presenta, a mo' di sfottò, con stivali di gomma e ombrello. Se venivano in Italia, probabilmente venivano con mitra e coppola. Simpatici come un calcio nei denti.


Svezia

Medaglia di bronzo per gli amici della Svezia, usciti direttamente da un puntata di College, con la felpa a righe orizzontali che fa così tanto anni 80, che di più non si può. Capisco che non abbiate Armani in patria, ma si poteva far di meglio invece che cercare le magliettine a 3,99 euri di H&M, ecco.

Germania

Secondo posto per i padroni dell'economia europea, i tedeschi. Come me, anche loro sono nostalgici di Kiss Me Licia e quindi hanno deciso di emulare il grembiulino di Andrea (il fratellino di Mirko) e Elisa (la sua fidanzatina). Più kitch di così, non si poteva.


Spagna

Medaglia d'oro, senza dubbio, alla patria delle vacanze italiane: la Spagna (olè!). Non so se era possibile fare peggio, ma credo sinceramente di no. Da notare la fantasia delle donne e la sobria borsa delle atlete. Praticamente sia autoperculano. Ma Zara, la madrina di tutte le wannabe-fashion blogger, in quanto iberica, non poteva dare una mano?

Insomma, oggi abbiamo cpaito che medagliere+stile non è binomio facile. Ecco perchè noi abbiamo la divisa più figa!

lunedì 9 luglio 2012

Jack Frusciante è uscito dal Gruppo. Ma il Gruppo regge ancora alla grande!


Standing in line
To see the show tonight
And there's a light on
L’Heineken Jammin’ Festival è un’esperienza: è un tripudio di luci, gente, colori e musica che raramente si vive in un contesto così rilassato.
C’era l’afa, ma non era insopportabile.
C’era gente ma non la calca.
C’era aria di festa, ma non sguaiata.
C’era musica, quella sì, tanta e bella, di quel rock che piace a me, che mi porta ricordi e sensazioni, che mi fa saltare e cantare a squarciagola in mezzo a migliaia di sconosciuti.

Siamo entrati che sul palco già si suonava, accaldati e stanchi da 400 km macinati in treno per essere là, dove avrei tanto voluto essere dieci anni fa ma non c’ero (Azzurro sì, per la cronaca). Il tempo di un giro per gli stand, per farsi le mani a tema (ho una manicure con le note musicali, ndV), per prendere una bottiglia d’acqua e i led cominciano a illuminarsi, interrompendo gli spot sul sesso sicuro (welcome back, 90’s!), la musica richiama, si sente elettricità.
Ho un fiammante biglietto per Noel Gallagher e i Red Hot Chili Peppers, in pratica un tributo ai nostri migliori anni, quelli che eravamo ragazzini ed era tutto tanto rock, da sembrare un film.
Please don't put your life in the hands
Of a Rock n Roll band
Who'll throw it all away
Noel Gallagher, in polo e occhiali da sole, sale sul palco. Il 50% degli Oasis è davanti a me. Brividi.
In realtà fa un po’ troppo il fighetto, non parla (se si esclude uno GIAO ITAGLIA!), ogni tanto si ferma per bere la birra che sponsorizza l’intera baracca, suona principalmente le sue canzoni. E infatti, salvo qualche ragazzina infoiata, metà della gente ascolta ma non partecipa. Noel, noi siamo cresciuti con gli Oasis. Suona i tuoi pezzi storici, con buona pace dei tuoi High Flying Birds. Wonderwall, Noel, suonaci Wonderwall!
Alla fine cede, ma non suonerà Wonderwall (si capisce che ci sono rimasta male?), ma tirerà fuori degli evergreen come Whatever, Little by little e Don’t look back in anger che infiammano il pubblico. E io urlo, urlo su Little By Little, come se avessi ancora quindici anni, come se non mi accorgessi che a lui girano le palle di dover suonare le canzoni vecchie, come se non notassi che lui è bravo, ma di voglia di suonare non se ne parla.
Quando saluta ed esce dal palco, io sono già senza voce e stremata.
E il bello deve ancora venire.
Come to decide that the things that I tried
Were in my life just to get high on
Si aspetta, poi, sdraiati sul tappeto di erba sintetica, si ride e si suda, ci si riposa in previsione di quello che sarà. Quando il led diventa rosso e compare l’asterisco, noi siamo accanto al mixer, fra i ragazzini e i padri di famiglia: già, perché i ventenni di Blood Sugar Sex Magik oggi sono quarantenni con famiglia. E poi ci son quelli che hanno sentito da preadolescenti Californication e ora hanno vent’anni.
E poi ci siamo noi che abbiam fatto in tempo a vedere John Frusciante uscire dal gruppo, rientrarci e uscire di nuovo.

(Digressione. Essì vecchio Alex, John poi c’è pure rientrato nel gruppo, qualche hanno dopo la partenza di Adelaide. E dopo gli splendori commerciali degli anni 2000 è uscito di nuovo. Ora c’è Josh Klinghoffer, che non sarà Frusciante, ma se la cava discretamente. Stammi bene, Alex. Fine Digressione)
Mi giro e alle mie spalle vedo una distesa sterminata di teste: la mattina dopo leggerò che eravamo quasi trentamila, ma sul momento non me ne sono resa conto, che avevo abbastanza spazio, anche per ballare.

Azzurro non sta più nella pelle, già canta senza musica e un gruppo di ragazzi vicini, canta con lui. Concerto nel concerto, metaconcerto.

Buio.
Applausi e grida.
Riflettori sul palco.

Ed eccoli qui, questi uomini di mezza età che sembrano ventenni sul palco, che attaccano con un pezzo nuovo (Monarchy Of Roses), mentre la folla si dimena, come in una festa.

Can't stop addicted to the shin dig
Cop top he says I'm gonna win big

Ora, sarà che io i Red Hot Chili Peppers non li avevo mai visti dal vivo, sarà che anche se non sono il mio gruppo preferito li ho sempre ascoltati, sarà che alcune canzoni (no, non Under The Bridge) sono legate a determinati momenti della mia adolescenza, sarà quello che volete, ma sono rimasta sconvolta da quanto siano bravi.
Perché tenere a ballare trentamila persone senza troppi orpelli scenici, non è da tutti.

Flea è qualcosa di stratosferico: per un’ora e mezzo non si è fermato mai, dai salti alle verticali, alle battute (che io non le capivo), è un animale da palco. Chad Smith rulla di continuo, quella batteria la sentivi anche quando è saltata una parte dell’impianto. Il già citato Josh Klinghoffer è bravo, sa stare con i ben più navigati colleghi senza perdersi e quando improvvisa con Flea è da strapparsi i vestiti. E soprattutto il controcanto che fa a Can’t Stop, non mi fa rimpiangere il suo predecessore, che per me è roba grossa. Antony Kiedis è un po’ sotto tono (con qualche stecca qua e là) ma regge perfettamente i sedici pezzi senza prendere mai fiato.

Ballo, salto mentre penso che un live così non l’ho mai visto, nemmeno ai gloriosi tempi dei festival gratis.

Le canzoni nuove le conosco meno, Snow (Ehy Oh) è la mia canzone preferita fra le recenti e faccio una sudata per ballarla tutta, su Scar Tissue mi accorgo di avere un decimo della voce che avevo qualche ora fa, su Dani California salto tanto che un ragazzetto mi chiede “ma come fai?”, quando attacca Under The Bridge è impressionante il silenzio che accompagna l’intro e poi è un fiorire di accendini e ipod, Californication è casino, Fire è roba da addetti ai lavori che mi accappona la pelle.

Give it away give it away give it away give it away now [x 3]

Siamo alle battute finali, si sente. L’ultimo pogo, sciolgo i capelli impiastricciati di sudore e balliamo come se non ci fosse domani su Give It Away. Salutano e ringraziano e io penso che voglio rivederli e che è stato fantastico. Fanculo alla mia età anagrafica, ai dolori alla schiena per le ore in piedi, alla stanchezza del viaggio, ai giorni di ferie.
È stato IL concerto. Esticazzi.
Come dicevano sul Corriere Della Sera, peccato per chi non c’era.

martedì 3 luglio 2012

Dell'insenatura di Dawson

(Ovvero, dell'identificarsi con il personaggio più sfigato dell'intera serie)*

Ci sono cose che fanno parte di me e che mi appartengono, che anche se sono cresciuta o cambiata, restano lì sempre uguali.
Questo, però, non è sempre un bene.
Si dice che bisognerebbe maturare, progredire. Joey addirittura lo urlava a Dawson, all’alba della prima serie (correva l’anno 1998, per la cronaca) quando lui non la capiva.

Ecco, io sono come Dawson: ancorata alla mia manciata di certezze, terrorizzata dai cambiamenti, in modo molto infantile. Tant’è che io nel triangolo che ci (mi) tenne incollata alla TV nei pomeriggi di Italia1, io parteggiavo dichiaratamente per lui. Perché lui è il mio alter ego.

Non in tutto certo, stiamo sempre parlando di un cazzone dalla fronte più alta del Nord America, di un trentenne che ci volevano far passare per quindicenne solo mettendogli addosso qualche camicia a quadri, di uno che le donne non le ha mai capite.

E che Dawson non capisse una benemerita, si dimostra fin dalle prime puntate, basta ricordare che invece che intortare come un normale adolescente (cioè sciorinando banalità su Baudelaire, Karl Marx, i Pink Floyd, la Nouvelle Vague et similia), opprime tutte le sue ragazze con dei pipponi (solo figurati, eh! Che Dawson si mantiene vergine fino al college! IL COLLEGE! Roba che American Pie non ti ha insegnato niente?) su Spielberg.
Sì, Spielberg.
Steven Spielberg, quello di ET.
L’apoteosi del cinema commerciale, quello che conoscono tutti, che tutti vedono ma che nessuno stima (tranne me, che sono ancora sotto per Jurassic Park! Ma l’ho già detto: lui è il mio alter ego). Ci si domanda, ad oggi, come Joey, famosa per la parlantina e le risposte acide, non gli abbia mai sbottato di farsi una cultura cinematografica degna, che almeno si arricchiva culturalmente anche lei ad ascoltarlo, visto che di fare altro non se ne parlava.
E invece gnente, serate su serata a guardare Lo Squalo. Robe che sì, guarda, piacerebbe tanto anche a me ma stasera devo proprio limarmi le unghie.

E infatti, Joey sceglie Pacey, che era una capra a scuola (ricordiamoci che non si diploma), ma che almeno la libera dall’incubo cinema e le offre l’avventura. Forse avventura è eccessivo, se ricordiamo per un attimo le loro serate: minigolf, cinema, cena di classe. E certo, la barca a vela (leggi: catamarano) un’estate, durante la quale lei dorme per tre mesi tre in un’amaca, mentre lui le legge La Sirenetta.
Se avessi avuto la mia ernia L4-L5, cara la mia Joey Potter, al ritorno ti toccava cominciare ad uscire con un neurochirurgo.

D’altro canto, anche lei era all’altezza dei suoi comprimari: un’adolescente con paturnie e sfighe (madre morta, padre carcerato, sorella ragazza madre, povera in canna) che poteva gareggiare con Candy Candy. Ovviamente, dietro l’aria da brava ragazza e il sorriso storto, se la fa con tutti; oltre i già citati Dawson e Pacey, finisce con: Jack (l’omosessuale), AJ (il saputello), Charlie (l’ex della sua amica Jen), il professore di Letteratura (strizziamo l’occhio a Nabokov, noi!) ed Eddie (il barista letterato).

Non mi perderò a ricordare Andie la pazza (fatta sparire senza pietà, con un viaggio in Italia da cui non tornerà. Grazie per la bella pubblicità, Kevin Williamson!), il già citato Jack, o Audrey (detta il troione da sbraco) per tornare a focalizzarmi su Dawson.

Proprio lui, il protagonista, alla fine di sei stagioni, quando tutti raggiungono un punto fermo e sono lì a vivere il loro lieto fine, decide di dare LA SVOLTA.

Breve parentesi sul lieto fine: questo, ovviamente, non vale per la compianta Jen Lindley –al secolo Michelle Williams, attrice acclamata dalla critica- che tira le cuoia nell’ultima puntata. Non sia mai che fra dieci anni tirino fuori uno spin off, alla 90210, con un bel triangolo fra Lily (la sorella di Dawson), Alexander (il nipote di Joey) e Amy (la figlia di Jen) e a lei venga la malaugurata idea di accettare la parte.
Tra l’altro, vista l’evoluzione di protagonisti di Beverly Hills in 90210 (Kelly che diventa psicologa, ndV), il ruolo di Jen poteva essere solo quello dell’insegnante di religione.

Comunque dicevo, il nostro, dopo tutto quello che gli succede in centoventotto puntate (amori- lutti- genitori che si separano- genitori che si risposano- esami- lavori- film realizzati- intorti- figure dimmerda con Eva- discussioni sul niente- il tuo migliore amico che ti si frega la donna- lezioni di moralità e legalità… ad libitum), si accontenta è felice di incontrare Spielberg, mentre la sua anima gemella, decide di (ri)trombarsi Pacey.

Il tutto, parafrasando Joey, per dire che Le persone crescono, Dawson! Evolvono! .

Ecco, io e Dawson no. Però lui ha almeno incontrato Spielberg.


*Nonostante il tono sarcastico, si sappia e non si dimentichi che Dawson's Creek è il mio teen drama preferito, over the top. Lo prendo in giro in maniera bonaria, ma lo reputo il miglior maestro di vita che abbia mai avuto.