venerdì 11 maggio 2012

Firenze l'è piccina / e vista da i' Piazzale / la pare una bambina

Latito da un po’. Non per assenza di contenuti, ma per mancanza di tempo et voglia. Oppure a volte succede che sono stanca, che sono stata anche a correre e dopo la doccia collasso e non mi riesce a svegliarmi nemmeno per biascicare la buona notte a chi ho accanto.

Però sono stata a Firenze, qualche giorno fa.
Io a Firenze le voglio un po’ bene.

Da bambina andavo con i miei: mio babbo c’aveva fatto il militare e anche lui le voleva bene. Ci voleva andare sempre a prendere il caffè alle Giubbe Rosse e il gelato da Vivoli, mentre mia mamma tornava sempre carica di buste, che all’epoca la Coin e la Rinascente, a noi di provincia sembravano avanguardia pura.

Poi ho cominciato ad andarci da sola, sporadicamente in primavera, quando facevo il liceo. Andavamo al mercatino di San Lorenzo (che sembrava tanto grande e bello e invece è tutta chincaglieria per turisti) e a struffare il naso del Porcellino, che dice che porti fortuna.

Infine Firenze è diventata una frequentazione abituale durante l’università. Per tre anni, ogni mattina, arrivavo scocciata e trafelata dalla mia ridente cittadina e ci passavo le mie giornate intere. Il venerdì mattina, con Ciukino, ci regalavamo la colazione al bar (dove facevano il caffè macchiato con tanta schiuma e in tazza grandedi default) e ridevamo del cameriere più bistrattato che abbia mai visto. Andavamo all’Edison e alla Feltrinelli per le presentazioni dei libri, da Zara che da noi ancora non aveva aperto, alla biblioteca Marucelliana prima che aprissero quella di facoltà, al mercato della Cascine invece che a lezione, in piazzale Michelangelo che è il posto più bello di tutta Firenze.
Sono stata ospite di Ciukino e Momo o di vari compagni di corso per andare alla Flog, al concerto dei Subsonica al Sashall (ora Mandela Forum) che mi avevano regalato il biglietto, al giovedì universitario dell’Universale (esiste ancora?), al Central Park (esiste ancora-bis?) per festeggiare la fine della sessione estiva, per San Giovanni solo per sentire con le mie orecchie che “i fochi l'eran meglio quegli altr'anni", al Salamanca per la cena degli auguri con gli amichetti del corso. Sono rimasta anche solo perché avevo perso l’ultimo treno, o la mattina dopo avevo un esame troppo presto.

In quegl’anni lì, Firenze l’ho amata e odiata insieme. Mi costringeva ad una sveglia antidiluviana e mi faceva rientrare sempre tardi, era faticosa, calda e caotica, mi faceva studiare robe che non credevo e mi faceva sentire sempre in ritardo: praticamente mi sfiancava. Eppure ci trovavo la mia dimensione più di quanto non riuscissi a fare a casa, forse perché lì ero solo io, Viola, senza tutti i ricchi coittillon che avevo nella mia città. Potevo essere tutto e il suo contrario e questo mi dava un’ebbrezza che poi non ho più provato. Firenze m’ha salvata da tutta la mia rabbia e la mia tristezza, durante quegli anni.

Ci sono tornata adesso ed era più di un anno che mancavo. Ho camminato tanto, per visitare i miei posti preferiti, per affacciarsi in Ponte Vecchio, per mangiare il gelato alle Parigine, per passare dagli Uffizi et similia.

Solo poi sono passata davanti alla mia facoltà.

Sarei voluta entrare, ma poi ho desistito che ormai è andata e non c'è tempo per i rimpianti.
Tanto, alla fine, è andata comunque come doveva andare.